giovedì 29 maggio 2014

In Belgio l'eutanasia è aumentata del 700 per cento in 11 anni


Nel 2013 "la dolce morte" ha provocato il decesso di 1.816 persone. 150 casi al mese, 5 al giorno

Nel 2013 in Belgio sono state uccise 1.816 persone con l’eutanasia. A riportare i numeri è Le Soir evidenziando un aumento rispetto al 2012 del 26,8%, essendosi verificati in quell’anno 1.432 casi. In Belgio quindi si contano 150 casi di eutanasia al mese, cinque al giorno.

Numeri non accertati
I numeri, come scrive Tempi il 29 maggio, sono però parziali perché riguardano solo i casi regolarmente riferiti alla Commissione di controllo dell’eutanasia, creata in Belgio nel 2002 quando è stata approvata la legge con l’incarico di monitorare e punire gli abusi della norma. In 10 anni la Commissione non ha mai riscontrato neanche un caso di irregolarità, anche perché il suo presidente è il pioniere dell’eutanasia Wim Distelmans, ma questo non significa che non ce ne siano.

Un famoso medico in Belgio, il dottor Cosyns, già nel 2007 dichiarava pubblicamente: «Io non consulto mai un secondo medico» nei casi di eutanasia, cosa richiesta dalla legge. Nel 2013, invece, ha detto davanti al Senato che l’ha chiamato per discutere l’estensione dell’eutanasia ai minori, poi approvata: «È dal 2011 che non riporto più alla Commissione i casi di eutanasia».

La morte avanza
E c'è anche l'Olanda, dove la legge sull’eutanasia è molto simile a quella del Belgio e dove, secondo uno studio di Lancet, il 23 per cento di tutti i casi di eutanasia non viene riportato. Ma anche se aggiornati con questo difetto, i dati riferiti dalla Commissione belga impressionano se si pensa che dal 2003 le persone uccise con l’eutanasia nel paese sono aumentate di oltre il 700 per cento. Nel 2003 i casi erano 235 contro i 1.816 del 2013. Le cifre sono cresciute in modo costante a conferma dell’allarme lanciato dai medici belgi: «La legge sull’eutanasia sta portando alla banalizzazione della morte».

sources: ALETEIA

martedì 13 maggio 2014

Le nigeriane rapite, bring back our girls

di Cristofaro Sola


John Stuart Mill, padre del pensiero liberale, scriveva nel suo pamphlet “La schiavitù delle donne” (1869): “Il matrimonio è il destino che la società assegna alle donne… Originariamente le donne venivano prese con la forza o regolarmente vendute dal loro padre al marito”. Per il filosofo inglese la mancata partecipazione “dell’altra metà del cielo” allo sviluppo della società moderna avrebbe rappresentato un danno economico e culturale per l’intero consorzio umano.

Eppure Mill analizza un passato che, per una parte, è già alle spalle della sua generazione. L’ideale di matrice illuminista del progresso dell’umanità, nel tempo storico della rivoluzione industriale, induce all’ottimismo. Pazienza se poi ci vorrà oltre un secolo per consolidare, nell’ethos della comunità occidentale, il principio della parità di genere. Mentre qualche anno ancora, a terzo millennio avviato, occorrerà per adeguare le norme ordinamentali dei singoli Paesi all’uguaglianza tra sessi. Quindi, fare la parte dei primi della classe in materia di diritti delle donne neanche noi, evolutissimi occidentali, ce lo possiamo permettere visto il tempo che la nostra civiltà ha impiegato per metabolizzare la comprensione di uno dei più complessi problemi della storia umana.

Tuttavia, accadono oggi nel mondo cose che non possono essere taciute. Cose per le quali non vi sono, né potrebbero esservi, interessi da tutelare o equilibri da preservare. Cose che sono totalmente inaccettabili. Cose che gridano vendetta davanti a Dio e agli uomini, tanto sono gravi, disumane, violente, atroci. Cose per le quali neanche la pietà può fare da argine al desiderio di impartire ai colpevoli il giusto castigo, con il massimo della severità possibile. Siamo al cospetto di una realtà orribile, che colpisce le coscienze. Spacca i cuori. Angosciante, peggio di un film horror.

L’ambientazione: la città di Chibok nello Stato del Borno, nel nord-est della Nigeria. Il momento: la notte dello scorso 14 aprile. La scena: il dormitorio di una scuola. Le vittime: circa trecento giovani studentesse. Il fatto: il loro rapimento con la forza ad opera di un commando armato. Gli autori del crimine: la solita banda di feroci criminali di “Boko Haram”, il gruppo terroristico che, dalla sua fondazione avvenuta nel 2002, semina morte in tutta l’area interna della Nigeria. Il caporione che li comanda: Abubakar Shekau, assassino jihadista di origini nigeriane, noto per essere al vertice della top ten dei più pericolosi ricercati d’Africa. Guida l’organizzazione criminale dopo che il suo fandatore, altro fior di criminale, Ustaz Mohammed Yusuf, è stato catturato e ucciso, nel 2009, dalle forze regolari nigeriane nel corso di un attacco a un covo dell’organizzazione. Gusti della belva criminale: gli piace uccidere chiunque Allah gli ordina di uccidere, allo stesso modo in cui gli piace uccidere le galline. Dicono di lui: “È il più pazzo di tutti i comandanti. Crede veramente sia giusto uccidere chiunque sia in disaccordo con lui”.

Perché oggi se ne parla, a oltre un mese dall’accaduto? Perché lo scorso sabato, a Washington, davanti alle telecamere si è presentata, al posto del marito, la signora Michelle Obama con un cartello su cui era scritto “Bring back our girls” (“restituiteci le nostre ragazze”). La first lady ha ricordato quel dramma e ha offerto il suo sostegno alle famiglie delle vittime, ha poi promesso d’intervenire presso il marito, Barack, perche gli Stati Uniti aiutino il governo nigeriano a ritrovarle. Ma anche la “bestia” ha parlato. Perché ci dovrebbero interessare le parole di un vile assassino? Perché questa scoria velenosa dell’umanità, la settimana dopo il rapimento delle giovani, si è fatto riprendere in un video nell’atto di comunicare la sua spudorata minaccia: “Venderò le vostre figlie al mercato in nome di Allāh. Appartengono a lui”. Per ora sono nelle sue mani come schiave. Di quale colpa le accusa questo pscicopatico? Di essere studentesse. Sì, cari lettori, avete inteso bene! La loro colpa grave è che volevano studiare e si sa che, nella logica dei terroristi islamici, la cultura è reato, a maggior ragione se praticata da donne. Esse devono lasciare la scuola e devono essere date in spose, perché si compia il loro destino inevitabile. Non c’è da stupirsi, Boko Haram in lingua hausa vuol dire proprio “l’educazione occidentale è peccato”.

Perché ci preoccupano le sue deliranti minacce? Perché questo galantuomo “ha sposato in pieno le tattiche più estreme di al Qaeda, ha ambizioni regionali. Il suo gruppo si finanzia con il crimine ed ha rapporti con gli Shebab e i qaedisti del Maghreb”. In poche parole, se continua così, di massacro in massacro, la “bestia” ce la ritroviamo a fare coaching aziendale per accrescere le “competenze” dei terroristi delle regioni libiche del Fezzan e della Cirenaica, in partenza per le coste italiane grazie al “piano incentivi all’immigrazione” messo su dalla nuova coppia Boldrini-Alfano. Qual è il bacino potenziale d’azione di Boko Haram? Dalla Nigeria, che conta una popolazione di oltre 160 milioni di individui, di cui la metà di religione cristiana, Abubakar Shekau si sta spostando con i suoi accoliti nel vicino Camerun per poi puntare a Nord, in direzione della fascia del Sael. Se avvenisse la saldatura tra tutti i gruppi terroristici che operano in quell’area del continente africano, per l’Europa e per i Paesi in via di stabilizzazione del Nord Africa sarebbe una catastrofe di proporzioni incalcolabili.

Cosa fare per impedire che in Nigeria accada il peggio? In primo luogo, allestire una forza multilaterale di pronto intervento che abbia due chiari obiettivi: liberare le ragazze ostaggio dei terroristi ed eliminare fisicamente la “bestia” con il massimo danno possibile per l’intera banda. Tagliare la testa dell’organizzazione darebbe alle forze d’intelligence occidentali più tempo per approntare efficaci contromisure alla minaccia terroristica. In realtà, ci sarebbe da fare anche dell’altro. Ci sarebbe da rivedere la politica commerciale delle multinazionali nel continente africano, in particolare del settore energetico. I colossi industriali dovrebbero lasciare un po’ più risorse finanziarie da destinare a investimenti volti a migliorare le condizioni di vita delle popolazioni dei territori di cui sfruttano le ricchezze naturali. Ma queste cose non si possono dire a voce alta per non offendere l’udito di certi liberisti duri e puri.

Per ora ci acconteteremmo che le ragazze fossero restituite, indenni, alle famiglie e ai loro veri affetti. Non dimentichiamo che sono da considerare delle autentiche eroine per il solo fatto di aver scelto di emanciparsi attraverso lo studio e l’apprendimento umanistico e scientifico. Pensiamole tutte come nostre figlie. Cosa vorremmo più d’ogni altra cosa? Rivederle vive. Se saranno riportate sane e salve alle loro case, potranno continuare a coltivare il sogno, che è anche il sogno di un’intera generazione, di formare un giorno la nuova classe dirigente del proprio Paese. Di esserci nella storia, non come schiave, non come spose bambine vendute a 12 dollari ciascuna, non come oggetti, non come vittime dimenticate del fanatismo religioso, ma come donne.

Facciamo, allora, l’impossibile perché tutte loro ritornino alla vita. Intervenga anche il nostro governo, che della questione della parità di genere ha fatto un megaspot ad uso per la propaganda. E che la “bestia” Abubakar Shekau venga definitivamente cancellato. Una pallottola per feccia del suo genere sarebbe un onore immeritato. Meglio una forca. Così che i parenti di quelle migliaia d’innocenti, in maggioranza cristiani, che la “bestia” ha massacrato senza pietà alcuna, possano vederlo penzolare.

Bring back our girls!

Fonte: L'Opinione

lunedì 12 maggio 2014

"Si prova a sminuire il Papa perchè ricorda che la povertà l’ha creata l’uomo"



Lo ha detto Mueller al Salone del Libro di Torino alla presentazione del suo volume su "La missione della Chiesa", durante la quale ha dialogato con Tornielli

DOMENICO AGASSO JRTORINO
“Il termine povertà è particolarmente legato alla mia biografia; e non tanto perché provenga da una famiglia che abbia vissuto nel bisogno – certo, non navigavamo nell’oro: mio padre era un semplice operaio della ‘Opel’ in uno stabilimento nei pressi di Magonza e mia madre casalinga, madre di quattro figli; quel termine mi è invece familiare sin da piccolo perché è come se avesse dato una particolare coloritura alla fede e alla pratica della fede nella quale crescemmo: chi di noi, sin da bambino, non sapeva che proprio secondo la sana dottrina cattolica ben due dei quattro ‘peccati che gridano vendetta al cospetto di Dio’ sono peccati sociali: ‘l’oppressione dei poveri’ e la ‘frode nel salario agli operai’?”. Ha esordito così il cardinale Gerhard Mueller, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, alla presentazione della sua opera “Povera per i poveri. La missione della Chiesa” (Libreria Editrice Vaticana, 2014, pagg. 310, 20 euro) al Salone internazionale del Libro di Torino. Il Porporato ha dialogato con il coordinatore di Vatican Insider Andrea Tornielli.

“Nel tempo – anche da giovane parroco e insegnante di religione nei licei – maturava sempre più in me la consapevolezza che, accanto alla povertà materiale, c’era anche quella spirituale che, non diversamente dalla prima, reclamava di essere curata, chiedeva che qualcuno evangelizzasse: i ‘poveri’, infatti – ha proseguito - erano anche quei giovani liceali e quegli adulti che all’inizio degli anni Settanta avevano abbandonato la pratica cristiana, o perché ideologizzati o perché vivevano proprio come molti vivono oggi, ma che si vedeva che avrebbero voluto cambiare vita, che volevano di più; e che quando, magari dopo tanto tempo, si riaccostava al sacramento della confessione, dopo l’assoluzione, come il grande intellettuale francese Julien Green in cuor loro dicevano: ‘Allora mi accorsi che in fondo avevo sempre atteso questo momento, avevo sempre atteso qualcuno che mi dicesse: inginocchiati, ti assolvo. Andai a casa: non ero un altro, no, ero finalmente ridiventato me stesso’”.

Nel suo libro Mueller parla della Teologia della Liberazione fondata dall’”amico Gustavo Gutierrez”: “I poveri e i diseredati che, insieme a Gutierrez, a partire dalla metà degli anni Ottanta incominciai a frequentare negli ‘slums’ di Lima e poi nei villaggi di ‘Campesinos’ sulle Ande, erano persone che lottavano giornalmente per la propria sopravvivenza; ma, incontrandole, si restava allo stesso tempo stupiti nel vedere e toccare in loro una fede piena di gioia e di vita. E così era altrettanto evidente che la fede che testimoniavano apertamente e trasmettevano con amore era era veramente il tesoro più grande: abbandonarsi alla Divina Provvidenza, sapere di essere veramente poveri, cioè di dipendere, in ultimo, totalmente dal Signore Gesù, ‘l’uomo per gli altri’ (D. Bonhoeffer). Erano poveri, del tutto consapevoli di essere bisognosi, e proprio per questo possedevano il tesoro più grande: ‘Beati voi, poveri, perché vostro è il regno di Dio’ (Lc 6,20)”.

Tuttavia, “per essere poveri di spirito – attendere la salvezza di Cristo, il Figlio di Dio, vivente, incarnato, divenuto uomo e risorto – ed essere suoi veri discepoli significa – ha precisato Mueller -allo stesso tempo rigettare con fermezza la visione della sua Chiesa come una comunità religiosa separata dal mondo e autosufficiente; significa affermare la Chiesa come ‘sacramento universale di salvezza’, per usare l’incisiva espressione della ‘Lumen Gentium’; significa ribadire che la Chiesa, operando come segno e strumento di unione di Dio con gli uomini e degli uomini tra loro, è quella ancella di salvezza che Dio ha costituita storicamente, una volta per tutte e definitivamente in Gesù Cristo; quella salvezza che, attraverso lo Spirito Santo, egli ha posto quale perenne principio della storia umana e della edificazione di una società degna dell’uomo”.

Però “oggi, in un tempo in cui ‘l’adorazione dell’antico vitello d’oro (cfr. Es 1-35) ha trovato una nuova e spietata versione nel feticismo del denaro e nella dittatura di un’economia senza volto e senza uno scopo veramente umano’ (‘Evangelii gaudium’ 55), in un tempo in cui il rifiuto dell’etica e di Dio è tutt’uno con una brama di potere dell’avere sfrenata, che genera nuovi squilibri, nuove discriminazioni, nuove iniquità, nuove povertà materiali e spirituali di dimensioni mondiali, in un tempo così diviene forse più chiaro che mai perché l’Evangelo sia messaggio di gioia innanzitutto per i poveri, per chi è perduto e dimenticato; diviene chiaro perché la missione della Chiesa cattolica sia, debba essere sempre ‘a un tempo’, evangelizzatrice e liberatrice, annunciatrice del vero primato dell’uomo, difensore della dignità spirituale e materiale dei figli di Dio, creati a sua immagine e somiglianza”.

Rispondendo a una domanda di Tornielli, Mueller ha anche detto: “La Chiesa ha una missione profetica e deve criticare le ingiustizie che avvengono nel mondo”. “’Povero Papa: viene dall’America Latina e non sa di mercato ed economia moderna. Il capitalismo è l’unica forma giusta dell’economia’. Si sente dire questo di papa Francesco da quando ha pubblicato l’esortazione apostolica ‘Evangelii gaudium’”, ha messo in evidenza Mueller. In realtà la Chiesa è “l’unica istituzione che da papa Leone XIII, con la sua enciclica ‘Rerum novarum’, in poi affronta il tema della povertà con determinazione, sottolineando che l’uomo deve condividere tutto. E adesso che anche il Pontefice argentino descrive la realtà facendo emergere le povertà e disuguaglianze presenti nel mondo, viene sminuito” perché dice cose scomode; “invece Francesco fa emergere la verità: queste ingiustizie non sono conseguenze della natura ma di un sistema falso e colpevolmente squilibrato". "Alcuni - ha aggiunto Mueller - dicono al Papa: 'Diventiamo più ricchi così possiamo aiutare i poveri'; ma spesso sono gli stessi che hanno creato la povertà e le ingiustizie. E questo la Chiesa, a cominciare dal Papa, ha la piena libertà di dirlo, incoraggiando allo stesso tempo a mettere al primo posto la dignità di tutti i singoli uomini, dignità che va difesa sempre”.

Fonte: kairosterzomillennio

mercoledì 7 maggio 2014

Odessa: complici di un crimine


“Odessa: 38 morti in un incendio”, questa la versione dei nostri media. Invece è un infamante crimine di cui non si può essere complici.
Il 2 Maggio tutti i media hanno dato la notizia di incidenti che hanno coinvolto fazioni filorusse e filo governative nella città di Odessa, scontri culminati con l’incendio del palazzo dei sindacati in cui hanno trovato la morte 38 manifestanti filorussi che si erano lì rifugiati per sfuggire alle violenze della fazione opposta.
Ad un esame del materiale disponibile si evince che la ricostruzione (già estremamente riduttiva) di 38 morti per via di un incendio, più o meno ‘non premeditato’, appare insostenibile.
Le immagini parlano di un’azione premeditata sviluppata nelle seguenti fasi:
I dimostranti vengono fatti fuggire dalla piazza incendiando le loro tende.
- Vengono spinti a cercare rifugio nel vicino palazzo del sindacato.
- Una volta all’interno viene loro sbarrata l’uscita appiccando fuoco alla porta d’ingresso.
- Degli uomini appostati sul tetto scendono all’interno dell’edificio braccando i manifestanti che hanno l’uscita sbarrata dall’incendio.
- I manifestanti che vengono catturati vengono uccisi con colpi di spranga o di pistola alla testa e poi i segni vengono nascosti dando fuoco alla testa stessa.
- Una donna violentata e una strangolata testimoniano l’azione omicida compita da qualcuno all’interno dell’edificio.
- Alcuni si spingono fuori dalle finestre per sfuggire alle fiamme o forse agli aggressori, molti finiscono sotto i colpi sparati dall’esterno per poi essere finiti a bastonate una volta a terra.
Il governo di Kiev diffonde quindi una versione di comodo subito accettata dai media occidentali che anche quando poi si accorgono che è falsa si limitano a parlare di generiche vittime dell’incendio.
Dove sono finiti i governi occidentali che per i morti di Kiev (non provocati dal governo) chiedevano la caduta del governo legittimamente eletto? Dove sta il ministro Bonino che sollecitamente a nome dell’UE chiedeva sanzioni verso il governo ucraino per i fatti di Kiev?
Non cambierà nulla l’aver mostrato su un piccolo sito quanto accaduto ad Odessa, ma questo andava detto per non essere complici di questi fatti.
E personalmente era importante farlo per dissociarsi da questi criminali e da chi in occidente chiede di schierarsi dalla loro parte.
(Per la particolare crudezza delle immagini portate a documentazione dei fatti ricostruiti esse non sono state riportate su Libertà e Persona. Sono invece disponibili con la versione integrale dell’articolo pubblicato su Critica Scientifica)

martedì 6 maggio 2014

Bellezza e santità


di P. Aldino CAZZAGO ocd

Dopo aver osservato alla televisione tutto ciò che c’era da vedere sulla santità di Giovanni XXIII e di Giovanni Paolo II, e al netto di un po’ di facile retorica (giornalisticamente parlando) su questo tema, viene spontaneo chiedersi: “Ma, alla fine, che cos’è la santità?” e “Perché la santità è ancora capace di scaldare i cuori delle persone?”.

La bellezza

Vorrei rispondere con una similitudine. La santità è per la vita cristiana ciò che la bellezza è per un’ opera d’arte. Molti di noi, probabilmente, non sanno fare grandi e filosofici discorsi sulla bellezza, eppure si commuovono di fronte ad un tramonto, al viso di un bambino, ad un quadro di Caravaggio o ad un brano di musica. Questo semplice fatto ci dice che, anche se non sappiamo argomentare sotto forma di discorso il concetto di bellezza, sappiamo, però, farne esperienza, provarla, quando, per così dire, essa si incarna e ci “appare” nella forma del tramonto, del volto di un bambino, della pittura di Caravaggio e della musica. Fare esperienza di bellezza significa fare esperienza di qualcosa che attrae, che chiama ad uscire da se stessi. Il legame tra bellezza e chiamare è particolarmente evidente in greco perché kalòs, bello, ha la stessa radice di kalein, chiamare, fare cenno di avvicinarsi. Ha scritto Simone Weil: «Una cosa bella non contiene alcun bene all’infuori di se stessa, nella sua interezza, quale ci appare. Noi le andiamo incontro senza sapere che cosa chiederle, ed essa ci offre la propria esistenza. Quando la possediamo, non desideriamo altro; ma allo stesso tempo desideriamo qualcosa di più. Senza sapere assolutamente che cosa».

La santità

Nei confronti della santità accade qualcosa di simile. Per molti la santità resta un tema astratto e un po’ fuori da ciò che abitualmente si identifica con la realtà e la concretezza della vita e, nonostante questo, quando essi incontrano persone riconosciute “sante”, quella santità che fino a pochi istanti prima era cosa astratta e irreale diventa concreta e palpabile. Le stesse persone che non saprebbero fare un discorso sulla santità sarebbero, però, in grado di descriverne - perché direttamente colpiti - la sua manifestazione in termini di accoglienza, gratuità, benevolenza, compassione e amore a partire dallo sguardo di colui che è riconosciuto “santo”.
Le parole del killer del Beato Pino Puglisi illustrano in modo preciso quanto appena affermato. In un’intervista egli ha così rievocato gli istanti che precedettero l’uccisione del sacerdote palermitano: «Spatuzza [un componente del commando che uccise Puglisi] gli tolse il borsello e gli disse: “Padre, questa è una rapina”. Lui rispose: “Me l’aspettavo”. Lo disse con un sorriso. Un sorriso che mi è rimasto impresso». Al giornalista che gli chiede se si trattava del «sorriso di un santo?», egli ha così risposto: «Non ho esperienza di santi. Quello che posso dire è che c’era una specie di luce in quel sorriso. Un sorriso che mi aveva dato un impulso immediato. Non me lo so spiegare: io già ne avevo uccisi parecchi, però non avevo mai provato nulla del genere. Me lo ricordo sempre quel sorriso […]. Quella sera cominciai a pensarci, si era smosso qualcosa».

Conclusione

Ciò che accomuna la bellezza alla santità è la loro stessa capacità di attrarre a sé chi le incontra, la stessa capacità di portare in un altro “luogo” chi ne fa esperienza. Simone Weil ha ragione di dire che «la tendenza naturale dell’anima ad amare la bellezza è la trappola più frequente di cui si serve Dio per aprirla al soffio che viene dall’alto». Con le debite differenze, quando si incontra un santo, come ci hanno ricordato perfino le parole dell’assassino di Padre Puglisi, accade la stessa cosa.
Un grande tesoro è oggi più che mai nelle mani della Chiesa e delle singole comunità cristiane: quello della bellezza, grazie all’arte, e quello della santità grazie ai suoi testimoni più autorevoli. Dipende solo da noi farne un uso e un’esperienza intelligenti. Vale per la santità quello che il direttore dei Musei Vaticani, Antonio Paolucci, ha affermato nei confronti della bellezza: «Noi viviamo perché immaginiamo delle forme di bellezza. Non c’è speranza senza una qualche idea di bellezza».

lunedì 5 maggio 2014

UN VOLTO DA CONTEMPLARE


UN VOLTO DA CONTEMPLARE

16. « Vogliamo vedere Gesù » (Gv 12,21). Questa richiesta, fatta all'apostolo Filippo da alcuni Greci che si erano recati a Gerusalemme per il pellegrinaggio pasquale, è riecheggiata spiritualmente anche alle nostre orecchie in questo Anno giubilare. Come quei pellegrini di duemila anni fa, gli uomini del nostro tempo, magari non sempre consapevolmente, chiedono ai credenti di oggi non solo di « parlare » di Cristo, ma in certo senso di farlo loro « vedere ». E non è forse compito della Chiesa riflettere la luce di Cristo in ogni epoca della storia, farne risplendere il volto anche davanti alle generazioni del nuovo millennio?

La nostra testimonianza sarebbe, tuttavia, insopportabilmente povera, se noi per primi non fossimo contemplatori del suo volto. Il Grande Giubileo ci ha sicuramente aiutati ad esserlo più profondamente. A conclusione del Giubileo, mentre riprendiamo il cammino ordinario, portando nell'animo la ricchezza delle esperienze vissute in questo periodo specialissimo, lo sguardo resta più che mai fisso sul volto del Signore.

NOVO MILLENNIO INEUNTE
DEL SOMMO PONTEFICE
GIOVANNI PAOLO II

Mons. Galantino: il Papa a Cassano all’Jonio, sprone a rinnovarci dal di dentro


Si è tenuta stamani a Cassano all’Jonio, in provincia di Cosenza, una conferenza stampa in vista della visita, in programma il prossimo 21 giugno, di Papa Francesco nella cittadina calabrese. All’incontro hanno partecipato mons. Leonardo Sapienza, reggente della Prefettura della Casa Pontificia, e mons. Nunzio Galantino, vescovo di Cassano all’Jonio.

Il presule, recentemente nominato dal Papa segretario generale della Cei, parla della conferenza stampa al microfono di Amedeo Lomonaco:

R. - Abbiamo ipotizzato il percorso che il Santo Padre farà. La cosa certa è che starà qui per tutta la giornata. L’altro punto fermo è la Messa alle ore 17. Abbiamo inoltre ipotizzato tutto il programma della giornata, però dobbiamo verificare alcuni piccoli particolari relativi soprattutto ai percorsi interni, ai percorsi cittadini.

D. - Dunque, un programma ancora da definire. Come si sta preparando la comunità, la diocesi in vista della visita di Papa Francesco?

R. - C’è veramente, e non poteva non essere così, un grande entusiasmo. Ma c’è soprattutto la consapevolezza del dono che è stato fatto a questa Chiesa diocesana in maniera del tutto gratuita, perché evidentemente è una piccola comunità. Quanto alle preparazioni - oltre a quelle che stanno pianificando i singoli movimenti, le singole parrocchie e le associazioni - abbiamo fatto anche un programma che si chiama “Missione scusa”. Il Santo Padre ha detto che viene qui per chiedere scusa alla diocesi per aver sottratto il vescovo in alcuni giorni della settimana. Allora, anche noi ci siamo posti questo problema. Come vivere la preparazione? E abbiamo intitolato la missione: “Anche noi vogliamo chiedere scusa”.

D. - A chi chiedere scusa?

R. - Vogliamo chiedere scusa ai poveri per averli lasciati tante volte soli per strada. C’è allora l’impegno della Caritas nel vedere cosa significhi oggi chiedere scusa ai poveri. Altra tappa della missione è chiedere scusa ai giovani per non aver dato loro sempre le possibilità per realizzare i loro sogni: così, la diocesi sta mettendo in campo - proprio in vista della visita del Papa - alcuni progetti. Chiedere scusa ai ragazzi perché spesso abdichiamo dal nostro impegno di educatori. Poi, chiedere scusa ai non credenti perché tante volte il modo in cui viviamo la nostra esperienza religiosa ignora completamente le sensibilità dei non credenti, per cui facciamo e diciamo cose che molto spesso non li raggiungono, anzi li infastidiscono. Quindi, anche noi sul piano pastorale dobbiamo rivedere certi comportamenti, rivedere il modo con cui esprimere la nostra esperienza religiosa, ma anche chiedere scusa al territorio. Il territorio calabrese è bellissimo ma, purtroppo, è sfregiato dall’egoismo. Questo è il tipo di percorso di preparazione che stiamo facendo.

D. - A proposito di territori, la Calabria sicuramente trarrà giovamento dalla visita del Santo Padre. Qual è il suo auspicio per questa regione?

R. - Sicuramente, trarremo tutti vantaggio dalla parola illuminata, dalla presenza del Santo Padre. Questa è una regione che ha bisogno di gente che stia un po’ di più per strada per conoscere quali sono le attese delle persone. Attese che molte volte sono state gridate e vengono ancora gridate ma che altrettante volte purtroppo trovano orecchie molto, molto sorde. Allora, se si riuscisse ad avere gente capace di ascoltare - e che dall’ascolto faccia poi derivare un impegno più concreto a favore delle categorie di cui parlavo prima - saremmo già a buon punto.

radiovaticana
FORMAZIONE INTELLETTUALE, SPIRITUALE, UMANA E PASTORALE: QUESTI I QUATTRO PILASTRI DELLA FORMAZIONE DEI FUTURI SACERDOTI

Città del Vaticano, 5 maggio 2014 (VIS). La collaborazione con la società civile, l'evangelizzazione in un Paese ancora diviso e la formazione dei futuri sacerdoti sono stati i temi centrali del discorso che il Santo Padre ha consegnato ai Vescovi della Conferenza Episcopale del Burundi, in occasione della Visita "ad Limina Apostolorum".

Il Santo Padre ricorda che la collaborazione fra la Santa Sede e la Repubblica del Burundi, illustrata nell'Accordo-Quadro, firmato nel novembre 2012 ed entrato in vigore in febbraio, promuove "un ricco futuro per l'annuncio del Vangelo" ed invita i Vescovi "ad inserirsi - come già fanno - nel dialogo sociale e politico, e ad incontrare, senza esitazioni, i pubblici poteri. Le persone responsabili dell'Autorità sono le prime ad avere bisogno della vostra testimonianza di fede e del vostro coraggioso annuncio dei valori cristiani, affinché conoscendo più a fondo la Dottrina Sociale della Chiesa, ne apprezzino il valore e ad essa si ispirino nell'amministrazione della cosa pubblica".

In un non lontano passato, il Burundi ha conosciuto terribili conflitti ed il popolo burundese rimane ancora troppo spesso diviso con profonde ferite non ancora rimarginate. "Soltanto una autentica conversione dei cuori al Vangelo - scrive il Papa - può disporre gli uomini all'amore fraterno e al perdono, perché 'nella misura in cui Dio riuscirà a regnare tra di noi, la vita sociale sarà uno spazio di fraternità, di giustizia, di pace, di dignità per tutti'. L'evangelizzazione in profondità del vostro popolo continua ad essere la vostra principale preoccupazione per conseguire una autentica riconciliazione".

Se i primi testimoni chiamati a vivere l'autenticità di questa conversione sono, naturalmente, i sacerdoti, è necessario che i candidati al sacerdozio, "oltre alla indispensabile formazione intellettuale, ricevano anche una solida formazione spirituale, umana e pastorale. Questi i quattro pilastri della formazione! È con tutta la loro vita, nella quotidianità dei loro rapporti umani, che essi portano il Vangelo a tutti. Nel ministero sacerdotale non ci deve essere il 'predominio dell'aspetto amministrativo su quello pastorale, come pure una sacramentalizzazione senza altre forme di evangelizzazione'".

Papa Francesco elogia la preziosa opera delle congregazioni religiose nel campo dell'educazione, negli ospedali e nell'assistenza ai rifugiati e ricorda ai Presuli che le numerose nuove comunità che si formano "hanno bisogno del loro attento e prudente discernimento per garantire una solida formazione ai loro membri ed accompagnare l'evoluzione che esse sono chiamate a vivere per il bene di tutta la Chiesa".

"Il vostro Paese ha conosciuto una difficile storia recente, attraversata da divisioni e violenza, in un contesto di grande povertà che purtroppo perdura. Nonostante ciò, i coraggiosi sforzi di evangelizzazione che voi dispiegate nel vostro ministero pastorale portano numerosi frutti di conversione e di riconciliazione. Vi invito a non perdere la speranza, ma ad andare coraggiosamente avanti, con un rinnovato spirito missionario, per portare la Buona Novella a tutti coloro che ancora la attendono e che ne hanno più bisogno, perché conoscano finalmente la misericordia del Signore".

domenica 4 maggio 2014

Celebrazione Eucaristica della III Domenica di Pasqua (3.5.1987)


«Iubilate Deo! Iubilate Deo!». L'inizio della Santa Messa, l'Antifona, l'Introito d'ingresso. Giubilate e cantate inni al Signore! «Acclamate!» dice il testo italiano. In modo arcaico potremmo dire: «Giubbilate!». Un po' arcaico, ma ci sta bene. «Giubbilate!» cioè la vostra gioia è così grande che è incontenibile, la gioia di dare lode al Signore in questo servizio sacerdotale.
Quando Agostino offriva la sua parola, invitava a questo giubilo, a questa esultazione spirituale, forse in quel momento si sentiva affaticato per il suo ministero episcopale e diceva: «Si deficimus voce, non deficimus affectu. Explicare non possumus: iubilate!». Mi manca un po' la voce - diceva Sant'Agostino in quel giorno - ma non mi manca l'affetto. E se non siamo capaci di spiegarci e di farci sentire, giubilate, cantate un Alleluia tra i mille che ingemmano la Liturgia. E quando siete all'ultima lettera, Allelu-ia, perdetevi, smarritevi nel giubilo.
E' stato detto che questo giubilo - offerto poi nella bellezza della Liturgia, nell'incanto della melodia gregoriana - è stato scritto: «Due cose sono estremamente belle: l'architettura romanica e la melodia gregoriana». E' una verità di fatto che non si può dimostrare. Solo, è una verifica sperimentale. Lasciatevi portare da questa purissima melodia angelica ed è inutile ogni spiegazione e ogni dimostrazione. Il canto gregoriano, compianto e rimpianto, è stato scritto in questi giorni, in queste settimane: una cattedrale in rovina. Perché? Poi si è aggiunto, a conforto, che i giganti non si lasciano incatenare e non possono stare troppo a lungo in esilio.
La Fede è il passaggio (dobbiamo restringere molto per la brevità del tempo), la Fede è il passaggio dalla carne allo spirito, il passaggio dal tempo all'eternità, il passaggio dallo spazio - ogni spazio, anche immenso come tutto l'universo - il passaggio dallo spazio all'infinito.
Salutiamo la Vergine Maria. E' il mese di maggio: tutto un fiore di grazia e di bellezza. Ho nel cuore l'Enciclica del Santo Padre del 25 marzo "Redemptoris Mater". Cinque domeniche di questo mese e vi offrirò un palpito di questa bellissima Enciclica. Oggi: «Media nocte - dice agli inizi la Lettera Enciclica - media nocte Maria resplendere coepit sicut Stella, vera Stella matutina». Nel mezzo della notte, delle tenebre che avvolgevano la terra - e la avvolgono - Maria incominciò a risplendere come la vera Stella del mattino. La salutiamo e diciamo le parole della preghiera dei discepoli di Emmaus. Loro l'hanno detta a Gesù, noi la diciamo a Maria, con questo gemito: «Mane nobiscum: advesperascit». Maria, rimani con noi: si fa sera. «Respice Stellam, voca Mariam». Guarda la Stella, fissa la Stella e chiama Maria.

Don Luigi Bosio

giovedì 27 marzo 2014

Prepensionamenti e 416 ter: pura follia


di Arturo Diaconale

Se è vero che uno dei sintomi della follia è dato dal fatto che chi ne è affetto non ne è minimamente consapevole, bisogna necessariamente concludere che il nostro è un Paese provvisto di una classe dirigente formata da autentici pazzi. Due sono gli esempi che sembrano confermare una diagnosi così inquietante.

Il primo è stato offerto dalla neoministra per la Pubblica Amministrazione, Marianna Madia, con l’annuncio che il Governo si accinge a presentare un provvedimento teso a risolvere con i prepensionamenti un doppio ordine di problemi. Sia quello degli 85mila dipendenti pubblici in eccesso sollevato dal commissario Cottarelli, sia quello dell’altissima disoccupazione giovanile ormai arrivata a livelli insopportabili.

Sulla carta sembra l’uovo di Colombo. Basta prepensionare 85mila dipendenti pubblici arrivati per questioni d’età ad avere alte retribuzioni e sostituirli con 20mila giovani per realizzare un congruo risparmio e ridurre, sia pure di poco, il tasso di disoccupazione. Nella realtà, però, la faccenda non è così normale e tranquilla come potrebbe sembrare. Perché per anni si è sostenuto che il problema delle troppe spese dello Stato era rappresentato dall’altissima spesa pensionistica. E per almeno due decenni è stato perseguito l’obiettivo di ridurre il costo delle pensioni allungando la fase lavorativa della vita.

Siamo ora all’inversione di rotta rispetto a questa linea ventennale? Tutto può essere. Anche se appare decisamente inusuale che questa inversione rispetto ad una tendenza che va avanti fin dai tempi della riforma Dini del 1995 possa essere stata elaborata nell’arco di un solo mese dal ministro Madia e dai suoi tecnici. Si è trattato solo di una “chiacchiera”, allora, come ha sentenziato il segretario della Cisl, Raffaele Bonanni? Anche in questo caso, tutto può essere. Anche se non si potrebbe definire chiacchiera un atto di evidente schizofrenia. Il secondo esempio è offerto dal cosiddetto 416 ter del Codice Penale, cioè dalla legge in discussione in Parlamento che ridefinisce la fattispecie del voto di scambio e stabilisce che chiunque “accetta il procacciamento di voti” in cambio “di denaro o altra utilità” è punito con la reclusione da quattro a dieci anni.

Anche in questo caso, sulla carta nulla da dire. In linea di principio è sacrosanto che sia punito chi compera voti con il denaro o con altri vantaggi per i suoi elettori. Ma nel concreto anche questa faccenda cambia. Perché gran parte di chi vuole il 416 ter è formato da parlamentari che si battono per il ritorno alle preferenze. E perché, se mai si dovesse intrecciare il ritorno al sistema delle preferenze con l’aggravamento della fattispecie del voto di scambio, il Parlamento diventerebbe automaticamente il regno degli indagati. Con tutte le conseguenze che un evento del genere ha già fatto registrare in passato.

Non bisogna essere garantisti accaniti ma solo osservatori realisti nel rilevare, infatti, che mettendo insieme preferenze, 416 ter, obbligatorietà dell’azione penale e pentitismo, neppure il più specchiato degli uomini politici, soprattutto delle regioni meridionali (ma molte vicende lombarde indicano che anche al Nord le preferenze potrebbero essere il frutto del voto di scambio con mafia e ‘ndrangheta), sarebbe destinato a finire nel tritacarne mediatico-giudiziario. Magari per uscirne assolto dopo qualche anno d’indagine ed un eventuale processo, ma rimanendo nel frattempo delegittimato e paralizzato come rappresentante del potere legislativo.

Anche in questo caso la schizofrenia è evidente. Anche se per molti si dovrebbe parlare di ipocrisia e di paura di esporsi al fuoco dei giustizialisti più forsennati che di semplice malattia mentale. Ma il risultato è comunque lo stesso. Matti o ipocriti che siano creano le condizioni per mandare il Paese allo sfascio!

Fonte: L'Opinione

La rivolta contro i bonus-manager


di Sergio Menicucci

Altro che tagli alle pensioni! Sono sotto il fuoco incrociato di giornalisti, sindacalisti e Governo le retribuzioni dei supermanager pubblici e privati.

Aveva iniziato l’imprenditore Diego Della Valle a polemizzare con l’amministratore delegato delle Ferrovie, Mauro Moretti, il quale aveva dichiarato di essere pronto a lasciare l’incarico qualora il Governo decidesse di tagliare o ridurre sensibilmente la sua retribuzione di 850mila euro lordi l’anno, salvo benefit. Da aprile il Tesoro sembra intenzionato a disboscare la macchia dei trattamenti economici al di sopra dei 239.181 euro lordi l’anno, che sono lo stipendio del Presidente della Repubblica, il quale poi gode di un appannaggio per il Quirinale e la gestione della tenuta di Castelporziano e di Villa Rosebery sulla collina di Posillipo, a Napoli.

Si farà chiarezza? Ci sarà mai trasparenza? Altro tetto dovrebbe essere quello del primo presidente della Corte di Cassazione, che è a quota 311mila euro lordi. In tempi di crisi, di tagli in tutti i settori produttivi e di tasse in aumento per il ceto medio (professionisti, partite Iva, pensionati, lavoratori dipendenti e autonomi) certe situazioni pubbliche sono paradossali: dai 6,5 milioni di Paolo Scaroni dell’Eni ai quasi 4 di Fulvio Conti dell’Enel, dai 2,2 di Massimo Sarmi delle Poste al milione di Giovanni Gorno Tempini della Cassa Depositi e Prestiti e Alessandro Pansa di Finmeccanica.

Scendendo troviamo poi i 650mila euro di Luigi Gubitosi direttore generale della Rai, i 750mils di Pietro Ciucci dell’Anas, i 602mila di Maurizio Prato del Poligrafico, i 502mila di Massimo Garbini dell’Enav, i 474mila di Mauro Masi (ex dg della Rai) della Consap, i 430mila di Giuseppe Sala dell’Expo15. Ma l’elenco è lungo.

E nel privato cosa accade? Le retribuzioni dei supermanager delle banche e delle grandi aziende sono anche lì un problema. Nel campo dell’editoria è scoppiato il caso del gruppo Rcs, il cui Consiglio di amministrazione aveva messo all’ordine del giorno la convocazione dell’assemblea degli azionisti per l’8 maggio, dopo il duro scontro tra Della Valle (azionista al 9%) e il presidente della Fiat, John Elkann (azionista al 20,5%) e le dimissioni di Carlo Pesenti, uscito dal patto di sindacato. Ma è stato il secondo punto all’ordine del giorno, il piano bonus per i manager, a far scattare le proteste dei giornalisti, dei tecnici, dei poligrafici del Corriere della Sera e della Gazzetta dello Sport, che sono in assemblea permanente in attesa di chiarimenti prima della riunione del CdA fissata per domani.

“Un premio vergogna” hanno titolato il documento sindacale le rappresentanze dei lavoratori. La ricompensa all’a.d. Pietro Scott Jovane (750mila euro l’anno dopo aver incassato un bonus d’ingresso in Rcs, proveniente da Microsoft) e ad un’altra ventina di manager “è una beffa vergognosa ed eticamente inaccettabile nei confronti dei dipendenti del gruppo che hanno consentito a loro spese risparmi per 92 milioni e di tutto il Paese impegnato in pesanti sacrifici e tagli”. Il gruppo Rcs ha chiuso il bilancio del 2013 con una perdita di 218, 5 milioni di euro. La redazione inoltre è stata costretta ad assistere, nonostante proteste e scioperi, alla svendita dello storico palazzo di via Solferino, dove il “Corriere” risiedeva da 100 anni e che costituiva una garanzia, anche economica, per tutti i lavoratori. Sbagliata anche la decisione dei vertici di aumentare per 2 volte il prezzo dei quotidiani, che ha danneggiato la vendita dei due quotidiani.

Fonte: L'Opinione

Il risveglio della chiesa

Don Gabriele Mangiarotti

Se già Romano Guardini indicava, nei segni di speranza della nostra epoca, il «risveglio della Chiesa nelle anime», ora dobbiamo annunciare questo risveglio nella vita personale e sociale, come seme da coltivare, e i cui segni vanno custoditi e difesi.
Se la presenza di Papa Francesco sembra dare voce a una fede e a una Chiesa che i potenti del mondo e la mentalità secolarista di menzogna volevano morta e scomparsa, ora alcuni interventi di autorevoli voci nella Chiesa sembrano indicare il cammino della rinascita. Penso alla riproposizione dell'insegnamento sulla famiglia del Card. Caffarra, ma soprattutto a quanto affermato nella recente prolusione del Card. Bagnasco, il cui cuore riporto di seguito. Certamente sembra che il tanto lavoro svolto da CulturaCattolica.it, dai Giuristi per la Vita insieme a tante altre realtà sia finalmente riconosciuto nel suo valore e nella sua sostanza. Non è più il tempo della rinuncia, della pigrizia e della connivenza col male. Quanto sta accadendo mostra che se ci si muove si possono anche ottenere risultati positivi. E se amiamo il popolo cristiano dobbiamo dare voce a testimoni della verità della fede cattolica. Non ne possiamo più dei vari Monsignori che, per opportunismo e nella ricerca di un facile consenso, rinunciano alla verità cattolica (come accaduto recentemente a Verona).

Questo richiede, come Papa Benedetto XVI ricordava nella sua visita alla Diocesi di San Marino-Montefeltro, «cristiani presenti, intraprendenti e coerenti»
Dalla Prolusione del Card. Bagnasco:

5. Iperindividualismo
Come è grande e antica la presenza operosa della Chiesa accanto a tutte le povertà materiali della gente e dei popoli, così è grande e convinta la sua attenzione a tutto ciò che corrompe la mente e il cuore, rende smarrita e confusa la persona sulla sua identità, sul valore della vita umana in tutte le sue fasi, dal concepimento alla nascita, dalla crescita alla piena maturità, dal declino fino alla morte naturale: “La difesa della vita nascente è intimamente legata alla difesa di qualsiasi diritto umano. Suppone la convinzione che un essere umano è sempre sacro e inviolabile, in qualunque situazione e in ogni fase del suo sviluppo. (…) Se cade questa convinzione, non rimangono solide e permanenti fondamenta per la difesa dei diritti umani, che sarebbero sempre soggetti alle convenienze contingenti dei potenti di turno” (id. 213). Seminare e codificare errori su queste realtà fa incerti e fragili i rapporti, alimenta diffidenze in chi si trova nel bisogno e nella dipendenza, rende individualista la società. Tutto ciò è la premessa – forse prevista e voluta – perché i più forti e senza scrupoli possano manipolare e piegare persone e Nazioni ai propri interessi. Bisogna andare contro la corrente di un individualismo scellerato che – applicato ai vari campi dell’esistenza privata e pubblica – porta a camminare sulla pelle dei poveri, a non aver tempo di fermarsi accanto alle moltitudini ferite sulla via di Gerico. È una visione iperindividualista all’origine dei mali del mondo, tanto all’interno delle famiglie quanto nell’economia, nella finanza e nella politica. Ma il sentire profondo del nostro popolo è diverso. Come Pastori, che hanno la grazia di vivere con la gente, ne conosciamo l’impegno nei doveri quotidiani, il senso profondo della famiglia, la solidarietà nelle relazioni, l’autentico eroismo nella dedizione ai malati e agli anziani, la passione responsabile nell’educazione dei figli. È questa rete virtuosa che sostiene il Paese e la speranza nel futuro. La ripresa, giustamente invocata, sarà un’illusione senza una rinascita morale e spirituale; e ciò sarebbe tanto più grave perché la dura lezione della crisi sarebbe stata vana, pagata soprattutto dai deboli. Bisogna accelerare la conversione dall’io al noi e dal mio al nostro: non certo nel senso che non esistono più l’io e il mio, ma nel senso che mai più dovranno essere intesi come degli assoluti, cioè slegati dal resto del mondo fatto di “altri”: persone, istituzioni, aziende, Paesi. Un mondo fatto da stagioni diverse, come l’efficienza dell’età adulta, l’infanzia e la giovinezza, la malattia e la vecchiaia. Un mondo fatto di aree diverse di sviluppo e risorse, di ricchi e di poveri, di giustizia e di ingiustizia, di diritti umani proclamati e di fatto violati, come ad esempio i diritti del bambino, oggi sempre più aggredito: ridotto a materiale organico da trafficare, o a schiavitù, o a spettacolo crudele, o ad arma di guerra, quando non addirittura esposto all’aborto o alla tragica possibilità dell’eutanasia. Ciò grida vendetta al cospetto di Dio. O anche la tratta delle donne, la violazione – a volte fino alla morte – della loro dignità. In un mondo che si definisce evoluto e civile, quante sono ancora le forme di violenza e di barbara criminalità che assume anche forme organizzate e mafiose, come è stato ricordato nei giorni scorsi dal Santo Padre incontrando i familiari delle vittime nella Parrocchia romana di San Gregorio! Anche la libertà religiosa è ancora perseguitata in troppe regioni del mondo, e da non poche parti del pianeta continuano a salire rumori di conflitto che devono essere affrontati con le armi della preghiera e del dialogo onesto senza altri interessi. A tanti nostri fratelli e sorelle in umanità e spesso nella fede, che sono anche vicinissimi perché parte del nostro Continente – come il popolo ucraino – da questa simbolica sede vogliamo far pervenire la nostra vicinanza di Pastori, perché le ansie e le sofferenze, i diritti e le speranze di tutti trovino casa nella giustizia e nella pace. Anche per questo, la comunità cristiana ha aderito con gratitudine all’iniziativa di Papa Francesco, per 24 ore di adorazione e riconciliazione in tutte le Diocesi.

6. Educare intelligenza e cuore
Come sappiamo, l’annuncio di Cristo è fondamento e criterio dell’educazione delle intelligenze e dei cuori, una educazione integrale che la scuola è chiamata a offrire: “Il compito educativo è una missione chiave”, affermava recentemente il Santo Padre (Discorso ai Superiori Generali degli Istituti maschili di vita religiosa, 29.11.2013). E noi, Vescovi Italiani, con rinnovato impegno camminiamo nella via del decennio che abbiamo dedicato a questa missione. Per questo, con tutte le persone di buona volontà e di retto sentire, guardiamo all’appuntamento del 10 maggio prossimo in piazza San Pietro con il Papa. Davanti a Lui e con Lui, riaffermeremo l’urgenza del compito educativo; la sacrosanta libertà dei genitori nell’educare i figli; il grave dovere della società – a tutti i livelli e forme – di non corrompere i giovani con idee ed esempi che nessun padre e madre vorrebbero per i propri ragazzi; il diritto ad una scuola non ideologica e supina alle mode culturali imposte; la preziosità irrinunciabile e il sostegno concreto alla scuola cattolica. Essa è un patrimonio storico e plurale del nostro Paese, offrendo un servizio pubblico seppure in mezzo a grandi difficoltà e a prezzo di sacrifici imposti dall’ingiustizia degli uomini: ingiustizia che i responsabili fanno finta di non vedere pur sapendo – tra l’altro – l’enorme risparmio che lo Stato accantona ogni anno grazie a questa peculiare presenza. È in questo orizzonte che riaffermiamo il primato della persona, e quindi la tutela che si deve ad ogni persona specialmente se in situazione di fragilità – contro ogni forma di discriminazione e violenza. E nello stesso tempo non possiamo non ricordare il grave pericolo che deriva dallo stravolgere o disattendere i fondamentali fatti e principi di natura che riguardano i beni della vita, della famiglia e dell’educazione. La preparazione alla grande Assise del Sinodo sulla Famiglia, che si celebrerà in due fasi nel 2014 e nel 2015, nonché il recente Concistoro sul medesimo tema, hanno provvidenzialmente riposto l’attenzione su questa realtà tanto “disprezzata e maltrattata”, come ha detto il Papa: commenterei, “disprezzata” sul piano culturale e “maltratta” sul piano politico. Colpisce che la famiglia sia non di rado rappresentata come un capro espiatorio, quasi l’origine dei mali del nostro tempo, anziché il presidio universale di un’umanità migliore e la garanzia di continuità sociale. Non sono le buone leggi che garantiscono la buona convivenza – esse sono necessarie – ma è la famiglia, vivaio naturale di buona umanità e di società giusta. In questa logica distorta e ideologica, si innesta la recente iniziativa – variamente attribuita – di tre volumetti dal titolo “Educare alla diversità a scuola”, che sono approdati nelle scuole italiane, destinati alle scuole primarie e alle secondarie di primo e secondo grado. In teoria le tre guide hanno lo scopo di sconfiggere bullismo e discriminazione – cosa giusta –, in realtà mirano a “istillare” (è questo il termine usato) nei bambini preconcetti contro la famiglia, la genitorialità, la fede religiosa, la differenza tra padre e madre…parole dolcissime che sembrano oggi non solo fuori corso, ma persino imbarazzanti, tanto che si tende a eliminarle anche dalle carte. È la lettura ideologica del “genere” – una vera dittatura – che vuole appiattire le diversità, omologare tutto fino a trattare l’identità di uomo e donna come pure astrazioni. Viene da chiederci con amarezza se si vuol fare della scuola dei “campi di rieducazione”, di “indottrinamento”. Ma i genitori hanno ancora il diritto di educare i propri figli oppure sono stati esautorati? Si è chiesto a loro non solo il parere ma anche l’esplicita autorizzazione? I figli non sono materiale da esperimento in mano di nessuno, neppure di tecnici o di cosiddetti esperti. I genitori non si facciano intimidire, hanno il diritto di reagire con determinazione e chiarezza: non c’è autorità che tenga. Anche il fenomeno dell’”alcol estremo” – cioè di bere fino allo sfinimento o peggio – non può lasciare indifferente nessuno, tranne chi si arricchisce sul male degli altri. Si dovrebbe, invece, sprigionare nell’intera società un brivido di rifiuto e di seria preoccupazione, tale da provocare investimenti seri di risorse umane, economiche e valoriali, ben più meritorie rispetto a iniziative ideologiche e maldestre.

Italia, Paese bello ma incomprensibile ai tedeschi

Matteo Renzi e Angela Merkel


Ogni volta che la cancelleria Merkel incontra un nuovo Presidente del consiglio italiano sembra che il nostro Paese debba superare un esame senza aver imparato la lezione. Ma come ci vedono davvero gli abitanti della Germania? Abbiamo chiesto un parere alla redazione di Neue Stadt


di Clemens Behr
fonte: Neue Stadt
Quando Mario Monti ed Enrico Letta erano presidenti del Consiglio, i tedeschi li stimavano abbastanza. Sembravano competenti e capaci e al di sopra della solita cerchia dei politici e partiti italiani che fuori dal contesto italico sembrano una giungla impenetrabile. Ma dopo Berlusconi, probabilmente, qualsiasi altro nuovo premier avrebbe suscitato speranze per il Paese che resta il luogo più apprezzato per le vacanze dopo la Spagna. Per noi tedeschi rimarrà sempre un mistero il ripetuto successo elettorale del Cavaliere anche perché abbiamo conosciuto molti italiani che si vergognavano apertamente di avere una tale rappresentanza politica.
La prima reazione dopo l´ultimo ed ennesimo cambio di governo, ha sorpreso la Germania: perché mai Renzi dovrebbe riuscire a cambiare rotta se Monti e Letta non ci sono riusciti?
L´Italia, nella nostra abituale visione, era considerata, anni addietro, una nazione moderna ed economicamente promettente, nonostante le grande differenze fra nord e sud, con notevoli progressi in tecnologie avanzate, una gioventù che accedeva a buoni livelli formativi e segni evidenti di lotta contro corruzione e nepotismo. L’avvento di Berlusconi e dei suoi governi ha prodotto un forte cambiamento di immagine. È tornata l´impressione di un approccio alla “dolce vita” che non deve costare troppa fatica per cui quando la situazione economica entra in crisi, sembra che gli italiani trovino velocemente i colpevoli all´ estero, brontolano contro Berlino e Bruxelles senza prendere in esame la responsabilità degli errori “fatti in casa”.  Veniva più in luce la tendenza di molti italiani nel considerare lo Stato come una mucca che ognuno può mungere all’infinito con il risultato che quando diventa evidente il danno del bene pubblico, gli stessi, che ne hanno approfittato, si mostrano sorpresi e recitano la parte delle colombe innocenti.
E' apparso, in questi anni, davvero inconcepibile il comportamento di tanti politici italiani che, mentre il Paese lamentava da anni una difficile situazione economica, non hanno trovato il modo di collaborare oltregli steccati dei propri partiti preferendo invece il farsi la guerra su questioni di poco conto.
E adesso come si fa a credere che con Renzi l´Italia cambierà da un giorno all´altro? “ll capo di governo fra superuomo e incantatore” – questo il sottotitolo di un articolo del settimanale di economia “Wirtschaftswoche” scritto dopo la sua recente visita in Germania, mostra l´incertezza nel giudizio estero sulla persona del nuovo premier. In sostanza ci si chiede: ha veramente delle grandi capacità oppure è un grande fanfarone?  Per alcuni mezzi di stampa, il giovane leader italiano avrebbe incontrato la Merkel per ottenere “la licenza di fare debiti“ come scrive, con l’abituale tono critico, il rinomato settimanale “Der Spiegel”. E la Merkel non avrebbe osato contraddire il  programma di riforma presentato da Renzi per non alimentare la crescita dei partiti euroscettici prima delle elezioni del Parlamento europeo.
Esistono, tuttavia, anche voci ottimiste che sottolineano come il  nuovo presidente del Consiglio sia la persona più capace di promuovere quelle riforme strutturali necessarie e che i suoi predecessori hanno omesso da trent´ anni a questa parte. “Il suo programma sembra convincente per la Merkel”, scrive il quotidiano “Die Welt” tanto che la Cancelliera avrebbe augurato “una mano felice e tanta forza”.
C’è da dire che ha lasciato un retrogusto amaro il modo in cui Renzi ha conquistato la Presidenza del consiglio, con il veloce allontanamento del suo predecessore. Ciò nonostante, il nuovo premier è riuscito a convincere i tedeschi perchè ha idee valide e vuol fare tutta la propria parte nel guidare l´Italia, come una grande nave incidentata, verso acque più sicure. Resta il dubbio sul fatto che l’attuale contesto politico italiano gli consenta di operare, fino in fondo, i necessari cambiamenti di cui il Paese ha urgente bisogno
Da Città Nuova

martedì 25 marzo 2014

DOPO LA PROLUSIONE CEI - "Non solo pazienza i giovani italiani hanno tanto coraggio"

Giuseppe Roma, direttore generale della Fondazione Censis, sui temi sollevati dal cardinale Bagnasco al Consiglio permanente: "L'impresa è la priorità... Più imprese vitali e creative, più 'valore', più posti di lavoro, più vitalità sociale". Sul consumo intelligente: "Non è detto che comprare un'auto straniera faccia sviluppo, ma fare un pellegrinaggio a Loreto, questo sì perché muove risorse in Italia"
Luigi Crimella

La crisi economica ha chiesto un “prezzo altissimo al lavoro e all’occupazione” e “si riversa come una tempesta impietosa sui giovani”, che tuttavia mostrano “una grande pazienza e danno prova d’intraprendenza grazie alla genialità che spesso caratterizza l’età giovanile”. Queste parole della prolusione del cardinale Angelo Bagnasco, pronunciate ieri in apertura dei lavori a Roma del Consiglio episcopale permanente, sono lo spunto per un’intervista con il direttore generale della Fondazione Censis - Centro studi investimenti sociali, Giuseppe Roma. Il sociologo riflette sulle sottolineature del cardinale, anche per quanto riguarda il sostegno a “chi crea lavoro”, cioè alle imprese, e all’esigenza di “rimodulare la concezione del lavoro”.

Dunque, nelle parole del cardinale Bagnasco l’emergenza più forte è per i disoccupati e per i giovani che restano “fuori dalla porta del lavoro”?
“Il cardinale ha ben compreso il problema più grave che la crisi ha prodotto sul tessuto sociale. Quando parla di giovani, parla di famiglie che non solo devono sostenerli materialmente, ma anche moralmente. Ma le recenti generazioni hanno mostrato non solo ‘grande pazienza’, ma anche grande coraggio perseguendo il proprio progetto di vita. Molti non ci riescono, purtroppo, ma molti altri sì. Tra loro anche quel milione e 200mila giovani che lavorano in altri Paesi, e lo fanno con spirito non di ‘perdenti’, ma di chi ormai vede l’Europa, e anche per alcuni di loro gli altri continenti, come il grande contenitore di speranze dove puntare per costruirsi un futuro”.

Per “farcela” un giovane oggi deve necessariamente andare all’estero?
“Direi di no, sarebbe triste se cosi fosse. Lo mostrano quei giovani che invece rimangono in Italia e si cimentano affrontando la ‘sfida’ di costruire una propria impresa, come professionisti, tecnici, piccoli imprenditori dei servizi, del lavoro autonomo. Dovremmo considerare di più sia la genialità, sia le cose più normali. Penso a una formazione professionale che indirizzi i giovani verso lavori e competenze tecnico-operative di buon livello: manutenzioni, artigianato di servizio, lavori ‘rari’. Con l’ente salesiano Ciofs il Censis ha studiato in profondità questi mestieri un po’ trascurati e che invece darebbero spazi inediti di realizzazione umana e professionale. Ad esempio, i meccanici di precisione che poi vengono assunti dalla Ferrari, o i comandanti e tecnici di macchina sulle navi, o i tecnici del controllo numerico computerizzato per le produzioni manifatturiere. Purtroppo molti luoghi comuni circolano sui giovani e il lavoro. Questo non aiuta a fare le scelte giuste”.

Il cardinale ha detto di “sostenere in modo incisivo chi crea lavoro e occupazione”. Come commenta questo invito?

“Che è sacrosanto. L’impresa è la priorità, non c’è nessuna possibilità di dare lavoro se non attraverso le imprese. Ma chi vi lavora deve non solo produrre, ma anche ‘moltiplicare’ i propri talenti e quelli della stessa impresa, perché proprio l’impresa è il meccanismo attraverso cui si crea il valore di una società. E parlo di valore economico, scientifico, tecnologico, sociale. Più imprese vitali e creative, più ‘valore’, più posti di lavoro, più vitalità sociale. Il cardinale ha messo in ordine la questione. Parla anche di ‘dannose burocrazie’. Se l’impresa viene ostacolata proprio dalla burocrazia, è un guaio. Va controllata, questo sì, ma incoraggiandone l’attività, non frenandola”.

Incentivare i consumi senza tornare al consumismo: così ha detto il cardinale. Cosa significa?
“Che dobbiamo riattivare i consumi, ma in maniera attenta e ‘sobria’, cioè intelligente. Ad esempio, cercando, se possibile, di ‘consumare’ italiano piuttosto che importare da Corea, Cina o altro. E ancora puntare sui consumi di servizi, tipo l’assistenza personale, il lavoro domestico, l’artigianato, la cultura, il turismo, che generano lavoro e ricchezza interna. Non è detto che comprare un’auto straniera faccia sviluppo, ma fare un pellegrinaggio a Loreto, questo sì perché muove risorse in Italia”.

Sul lavoro il presidente della Cei ha parlato di “mentalità partecipativa e collaborativa”. Che significa?

“Penso intendesse dire che la produttività aumenta se ci sono nuove forme di partecipazione al lavoro che coinvolgano di più i lavoratori, a tutti i livelli. La Germania ci dà l’esempio di altissimi premi delle aziende ai dipendenti, mentre noi in Italia abbiamo solo rarissimi casi del genere. Per essere davvero produttivo il lavoro deve coinvolgere tutti e non premiare solo i manager e i quadri. Aggiungo che i milioni di giovani che sono ‘fuori’ dal lavoro e dal reddito andrebbero tenuti in considerazione. D’accordo aiutare i redditi bassi, ma chi il reddito proprio non ce l’ha? È giunto il momento d’innovare, superando le tante e grandi rigidità del nostro sistema-Italia”.

fonte: agensir

Il valore sociale della foresta

Il 21 marzo si celebra la Giornata internazionale delle foreste

25-03-2014  di Mario Agostino
fonte: Città Nuova

La filiera del legno oggi dà lavoro, con 70 mila aziende del settore legno-arredo, a circa 400 mila persone, eppure nonostante l’estensione boschiva sia cresciuta del 30 per cento si continua ad importare materia prima e non si valorizza il patrimonio nazionale


Come incrementare gli acquisti verdi nelle pubbliche amministrazioni? Possono gli appalti pubblici rafforzare la filiera del legno italiana? Queste sono le domande che la Pefc Italia, l’associazione che certifica la gestione sostenibile delle foreste ai ministri dell’Economia e dell’Ambiente per favorire una filiera di produzione, lavoro e tutela dell’ambiente che non lasci l’Italia sempre come fanalino di coda.
La recente giornata del 21 marzo dedicata dall’Onu proprio alle foreste, nel nostro Paese è in realtà una celebrazione mancata perché sulle foreste ben poco si discute e si fa. Da qui l’idea di una lettera aperta dove si chiede alle pubbliche amministrazioni di seguire il Green public procurement (Gpp) nelle gare di appalto pubbliche, in modo che l’acquisto di beni sia orientato ad acquisti “verdi”.
Un appello per fare in modo che il 21 marzo, giorno scelto dall’Onu per celebrare la Giornata internazionale delle foreste, non passi ancora nei prossimi anni in Italia quale una sorta di commemorazione di una “filiera mancata”, ma piuttosto come tappa verso la concretizzazione di un progetto europeo che nella gestione forestale sostenibile vede partecipi i rappresentanti dei proprietari forestali e dei pioppeti, i consumatori finali, gli utilizzatori, i liberi professionisti, il mondo dell’industria del legno e dell’artigianato. E qui le pubbliche amministrazioni sono le più distratte nell’attuazione, come precisa Antonio Brunori, segretario generale del Pefc Italia: «Attualmente nel nostro Paese gli appalti pubblici verdi sono poco sviluppati, nonostante siano previsti da precise direttive comunitarie», mentre l’associazione che presiede certifica 792 mila ettari in 10 regioni e 900 aziende del settore legno-carta.
«Eppure l’acquisto di beni e servizi per le pubbliche amministrazioni, che da solo rappresenta il 17 per cento del Pil nazionale, sarebbe una leva determinante per lo sviluppo, sostenibile, del settore forestale, a patto che si valorizzi il legname nazionale». Qualcosa negli ultimi tempi pare tuttavia essersi mosso. «Gli appalti verdi che favoriscono le produzioni locali – prosegue Brunori – sono oggi abbastanza diffusi nelle mense e nel settore alimentare, dove la filiera corta è divenuta quasi un must. Ma tali pratiche virtuose vanno estese ad altri livelli della pubblica amministrazione, in particolare per quanto riguarda l’uso di derivati del legno: mobili, parquet, imballaggi, carpenteria, cancelleria».
L’occasione sarebbe ghiotta soprattutto in un momento di stagnazione economica: permetterebbe di utilizzare in modo virtuoso un tesoretto che l’Italia continua a sottovalutare. La filiera legno oggi dà lavoro, con 70 mila aziende del settore legno-arredo, a circa 400 mila persone, ma i margini di crescita sono comunque enormi: un terzo del territorio nazionale infatti è coperto da boschi, per un’area di 10 milioni di ettari. Il trend è addirittura in crescita: i boschi sono aumentati del 30 per cento in 30 anni e raddoppiati dagli anni Cinquanta, producendo una quantità di legno tale che ogni tre secondi si potrebbe costruire una casa monofamiliare di 150 mq, in abete e larice.
Nonostante questo, l’industria di trasformazione importa materia prima dall’estero per oltre il 90 per cento del proprio fabbisogno, diventando il primo importatore di legname d’Europa e il quarto al mondo. Per questo, nell’appello si chiede di valorizzare le filiere locali del legno investendo nelle filiere «di prossimità». Non solo per incrementare il giro d’affari delle aziende e di conseguenza il numero di posti di lavoro, ma perché privilegiare l’uso di legno locale e certificato aiuta a salvaguardare il territorio, riducendo i rischi di erosione, dissesto idrogeologico e incendi boschivi per mancanza di manutenzione, offrendo un’opportunità di futuro per molte comunità. I risultati della ricerca sul valore sociale dell’attività forestale in Italia e il testo dell’appello sono disponibili sul sito www.forestintheworld.org.

Il sangue per la nostra salvezza

di Oscar Arnulfo Romero | 24 marzo 2014
Nella Giornata dei missionari martiri un testo dell'arcivescovo Romero tratto da un nuovo libro che raccoglie alcuni suoi discorsi.

Nell'anniversario dell'uccisione dell'arcivescovo Oscar Arnulfo Romero e ormai da qualche anno per la Chiesa è diventato il giorno in cui mettere al centro la testimonianza dei martiri missionari. Inserendoci in questa prospettiva proponiamo oggi il testo di un'omelia pronunciata dall'arcivescovo Romero tratta dal nuovo libro «La Messa incompiuta. Le ultime omelie di un vescovo assassinato» pubblicato dall'editrice EdB.



A motivo delle molteplici relazioni con l'editrice del giornale El lndependiente mi sono potuto unire profondamente ai vostri sentimenti filiali per la morte di vostra madre e, specialmente, a quello spirito nobile che fu Doña Sarita, che pose tutta la sua formazione culturale, la sua sensibilità, al servizio di una causa tanto importante in questo momento: la vera liberazione del nostro popolo.

Io credo che i suoi fratelli, questa sera, debbano non solamente pregare per il riposo eterno della nostra cara defunta, ma soprattutto raccogliere questo messaggio che oggi ogni cristiano deve vivere con onestà. Molti, e questo ci sorprende, pensano che il cristianesimo non debba porsi su questo terreno, mentre è tutto il contrario. Avete appena finito di ascoltare nel vangelo di Cristo che è necessario amare non soltanto noi stessi, che uno non deve cercare di non esporsi a quei pericoli della vita che la storia esige da noi, che chi vuole tenersi lontano dal pericolo, perderà la sua vita. Viceversa, chi si impegna per amore di Cristo al servizio del prossimo, vivrà come il chicco di grano che muore, ma solo apparentemente muore. Se non morisse, rimarrebbe solo. Se c'è un raccolto è solo perché muore, lasciandosi immolare in questa terra, disfacendosi e solo disfacendosi produce raccolto.

Nella sua eternità Doña Sarita ha ricevuto meravigliosamente la conferma di questa pagina che ho raccolto per lei dal concilio Vaticano II, e dice: «Ignoriamo il tempo in cui avranno fine la terra e l'umanità e non sappiamo il modo con cui sarà trasformato l'universo. Passa certamente l'aspetto di questo mondo, deformato dal peccato. Sappiamo, però, dalla rivelazione, che Dio prepara una nuova abitazione e una terra nuova, in cui abita la giustizia, e la cui felicità sazierà sovrabbondantemente tutti i desideri di pace che salgono nel cuore degli uomini. Allora, vinta la morte, i figli di Dio saranno risuscitati in Cristo, e ciò che fu seminato nella debolezza e corruzione rivestirà l'incorruzione; e restando la carità con i suoi frutti, sarà liberata dalla schiavitù della vanità tutta quella realtà che Dio ha creato appunto per l'uomo.

Certo, siamo avvertiti che niente giova all'uomo se guadagna il mondo intero, ma perde se stesso. Tuttavia l'attesa di una terra nuova non deve indebolire, bensì piuttosto stimolare la sollecitudine nel lavoro relativo alla terra presente, dove cresce quel corpo dell'umanità nuova che già riesce a offrire una certa prefigurazione che adombra il mondo nuovo. Pertanto, benché si debba accuratamente distinguere il progresso terreno dallo sviluppo del regno di Dio, tuttavia, nella misura in cui può contribuire a meglio ordinare l'umana società, tale progresso è di grande importanza per il regno di Dio.

E infatti, i beni, quali la dignità dell'uomo, la fraternità e la libertà, e cioè tutti i buoni frutti della natura e della nostra operosità, dopo che li avremo diffusi sulla terra nello Spirito del Signore e secondo il suo precetto, li ritroveremo poi di nuovo, ma purificati da ogni macchia, illuminati e trasfigurati, allorquando il Cristo rimetterà al Padre "il regno eterno e universale: che è regno di verità e di vita, regno di santità e di grazia, regno di giustizia, di amore e di pace". Qui sulla terra il regno è già presente, in mistero; ma con la venuta del Signore, giungerà a perfezione» (GS n. 39: EV 1/1439-1441).

Questa è la speranza che rafforza noi cristiani. Sappiamo che ogni sforzo per migliorare una società, soprattutto quando c'è tanta abbondanza di ingiustizia e peccato, è uno sforzo benedetto da Dio, che Dio vuole, che Dio da noi pretende. E quando si trova una persona tanto generosa quanto Doña Sarita, e si trova il suo pensiero incarnato in Jorgito e in tutti coloro che lottano per questi ideali, dobbiamo purificarli nel cristianesimo, questo sì, rivestirli di questa speranza dell'aldilà, affinché siano più forti, perché abbiamo la certezza che tutto ciò che avremo seminato sulla terra, non ci deluderà, ma lo ritroveremo purificato in quel regno in cui il merito sta appunto in ciò che abbiamo prodotto su questa terra.

Io credo che non sia inutile aspirare a ore di speranza e lotta in questo anniversario. Ricordiamo allora, rendendo grazie, questa donna generosa che ha saputo comprendere le inquietudini e gli sforzi di suo figlio e di quanti lavorano per un mondo migliore e ha saputo mettere lei pure il suo piccolo chicco di grano nella sofferenza. Io non ho dubbi che il suo paradiso sia anche in proporzione di questa sofferenza e di questa comprensione che manca a molti oggi in El Salvador.

Io vi supplico tutti, amati fratelli, guardiamo agli avvenimenti di questo frangente storico con questa speranza, con questo spirito d'impegno e facciamo tutto quello che possiamo. Tutti possono fare qualcosa: anche solo offrire la nostra comprensione.

Questa santa donna, che oggi stiamo ricordando, forse non ha potuto fare direttamente delle cose, ha dato però coraggio a coloro che possono lavorare, comprendendo la loro lotta e, soprattutto, pregando e dicendo, anche dopo la morte col suo messaggio di eternità, che vale la pena di lavorare perché tutte queste ansie di giustizia, di pace e di bene che sentiamo su questa terra, le raggiungiamo, se le illuminiamo di una speranza cristiana. Sappiamo infatti che nessuno è potente per sempre e che, per chi ha posto nel suo lavoro un sentimento di fede molto grande, amore per Dio e speranza negli uomini, per costoro tutto ciò si sta trasformando ora negli splendori di una corona che deve essere la ricompensa per il lavoro di chi ha seminato verità e giustizia, amore e bontà sulla terra. E non si ferma qui, ma sappiamo che, purificato dallo Spirito di Dio, viene raccolto per noi e ci viene dato in ricompensa.

Questa santa messa infatti, questa eucaristia è esattamente un atto di fede. Alla luce della fede cristiana, ci sembra che, in questo momento, la voce di divisione si trasformi nel corpo del Signore che si offrì per la redenzione del mondo e in questo calice il vino si trasformi nel sangue che fu il prezzo della salvezza. Che questo corpo immolato, che questo sangue sacrificato per gli uomini siano alimento per noi, affinché anche noi offriamo il nostro corpo alla sofferenza e al dolore, come Cristo, non per noi stessi, ma per dare segni di giustizia e pace al nostro popolo. Uniamoci allora intimamente nella fede e nella speranza in questo momento di preghiera per Doña Sarita e per noi.

fonte: vinonuovo

CONSIGLIO EPISCOPALE – La Chiesa italiana “dall’io al noi dal mio al nostro”

La prolusione del presidente della Cei, Angelo Bagnasco, al consiglio episcopale permanente. Ribadita la vocazione della Chiesa a servire il Paese con i “mezzi della debolezza e della povertà”. Attenta analisi della misera materiale, morale e spirituale, secondo le indicazioni di Papa Francesco. Il ruolo della Caritas e la promozione della famiglia e della scuola cattolica. Il no alla cultura del gender
Luigi Crimella
Una Chiesa che vuole servire il Paese con i “mezzi della debolezza e della povertà” come insegna Papa Francesco, ma che non rinuncia a parlare e ad occuparsi di tutto ciò che riguarda gli uomini, perché “i pastori, accogliendo gli apporti delle diverse scienze, hanno il diritto di emettere opinioni su tutto ciò che riguarda la vita delle persone”: così ha detto lunedì sera a Roma, nella prolusione ai lavori del consiglio episcopale permanente, che proseguiranno fino a giovedì, il presidente della Cei cardinale Angelo Bagnasco. Tanti i temi sui quali il cardinale ha richiamato l’attenzione dei confratelli vescovi: dai contenuti del messaggio del Papa per la Quaresima alle novità dello statuto Cei in via di rinnovamento, dalle due note in uscita sulla scuola cattolica e sull’ “Ordo Virginum”, alla crisi economica e occupazionale che prosegue lasciando strascichi crescenti di povertà tra la popolazione. E ancora, il cardinale ha parlato di obiezione di coscienza che viene avversata a livello europeo, come di “leggi immorali” che vengono promosse e propagandate, di attacchi alla vita nascente e nei suoi stadi finali, di egoismo e sfruttamento di bambini, donne, ceti più poveri, fino alla criminalità e ai conflitti in corso in varie parti del mondo. Una prolusione che non mancherà di suscitare dibattiti a vario livello, perché si occupa anche della libertà educativa, dei “maltrattamenti” alla scuola cattolica, dei tentativi di “indottrinamento” con le campagne Lgbt nelle scuole, di fenomeni preoccupanti quali l’ “alcol estremo” che minacciano la tenuta delle generazioni più giovani.
Il disagio delle famiglie distrutte. Le felicitazioni al neo-cardinale Gualtiero Bassetti, arcivescovo di Perugia, da parte del presidente della Cei sono state accompagnate dalla riproposizione dei tipi di “miseria” di cui ha parlato il Papa: quella materiale, morale e spirituale. Dopo sei anni di crisi oggi ci si rende conto che è stato chiesto “un prezzo altissimo al lavoro e all’occupazione” e i risultati, in termini di miseria crescente, sono sotto gli occhi di tutti. Il card. Bagnasco ha così invitato governo e parlamento a “incentivare i consumi senza ritornare nella logica perversa del consumismo che divora il consumatore”, sostenendo “in modo incisivo chi crea lavoro e occupazione in Italia” e incidendo “su sprechi e macchinosità istituzionali e burocratiche”. Ha poi richiamato i dati del Rapporto Caritas 2014 “False partenze”, che verrà presentato a breve, sottolineando un aspetto non da tutti adeguatamente considerato: “Si registrano anche gravi e crescenti difficoltà derivanti purtroppo dalla rottura dei rapporti coniugali – ha affermato – sia a livello occupazionale che abitativo. Il 66,1 % dei separati dichiara di non riuscire a provvedere all’acquisto dei beni di prima necessità”. “A questi dati di ordine materiale si devono aggiungere quelli di tipo relazionale tra padri e figli: il 68% dichiara che la separazione ha inciso negativamente su tale rapporto”. 
Se l’occidente vuole corrompere l’umanesimo. Una parte cospicua della prolusione è stata dedicata a temi di natura morale, quali la “schiavitù del vizio e del peccato”, causa non infrequente anche di “rovina economica”, e ciò pone di fronte all’esigenza di continuare ad annunciare i valori cristiani in una Europa in cui sembra prevalere quella che il cardinale ha definito la “violenza accattivante delle ideologie”. Ha parlato a questo riguardo di rifiuto dell’obiezione di coscienza, con gravi rischi per la tutela della vita (aborto, eutanasia ecc.) come pure di pratiche dei paesi occidentali che, per concedere finanziamenti ai paesi più poveri, pongono loro ricatti, inducendoli ad adottare “leggi immorali”. “Se l’occidente vuole corrompere l’umanesimo – ha affermato – sarà l’umanesimo che si allontanerà dall’occidente e troverà altri lidi meno ideologici e più sensati”. Causa profonda di questi comportamenti è la diffusione di una “visione iperindividualistica” che è “all’origine dei mali del mondo” e che investe famiglie, economia, finanza e politica. Il cardinale ha così esortato alla “conversione dall’io al noi e dal mio al nostro”, cioè a uno slancio di senso fraterno che farà bene tanto alla società quanto all’economia. Circa l’educazione e la scuola, ha richiamato l’appuntamento col Papa del 10 maggio e ha deplorato le iniziative in atto nelle scuola a cura dell’Unar, sui temi del “gender”, definendole “campi di rieducazione” e “indottrinamento” contrarie a quanto i genitori desiderano per i loro figli. Così ha esortato i genitori stessi a reagire, “non facendosi intimidire” perché sull’educazione “non c’è autorità che tenga”, ha affermato.
Fonte: agensir

venerdì 21 marzo 2014

Sant'Agostino al centro della predica di Quaresima di P. Cantalamessa: è lo Spirito Santo che fa l'unità dei cristiani



E’ Sant’Agostino il protagonista della seconda predica di Quaresima di padre Raniero Cantalamessa, pronunciata stamattina nella Cappella Redemptoris Mater del Palazzo Apostolico alla presenza del Papa. Il predicatore della Casa Pontificia ha scelto il vescovo di Ippona per spiegare che “la Chiesa è formata da più persone riunite e amalgamate insieme dalla carità che è lo Spirito Santo”, dove proprio quest’ultimo è ciò che la anima e la unisce. Il servizio di Tiziana Campisi:

C’è una prima distinzione da comprendere quando si guarda alla Chiesa, questo ha insegnato Agostino. Una cosa è la Chiesa presente o terrestre, “il campo in cui sono frammisti grano e zizzania, la rete che raccoglie pesci buoni e cattivi, cioè santi e peccatori”, altra è la Chiesa futura o celeste, quella fatta di tutti e soli santi. Il predicatore della Casa Pontificia è partito da questo grande insegnamento del vescovo di Ippona per sviluppare la sua meditazione sulla natura della Chiesa proseguendo, con l’ulteriore distinzione, nella Chiesa terrena, tra comunione dei sacramenti, quella che unisce quanti partecipano degli stessi segni esterni - ossia sacramenti, Scritture, autorità - e comunione operata dalla Spirito Santo, dalla grazia, dalla carità:

“L’appartenenza piena alla Chiesa esige le due cose insieme, e la comunione visibile dei segni sacramentali e la comunione invisibile della grazia. Essa però, e qui un altro progresso di Agostino, ammette dei gradi”.

Da qui gli scismi, le separazioni, le controversie, le dispute teologiche, sicché Agostino conclude che “può dunque esserci nella Chiesa cattolica qualcosa che non è cattolico, come può esserci fuori della Chiesa cattolica qualcosa che è cattolico”:

“Vediamo come la teologia di Agostino ci può aiutare in questa impresa di superare gli steccati secolari … oggi dobbiamo muovere dalla comunione spirituale della carità verso la piena comunione anche nei sacramenti, soprattutto dell’Eucaristia”.

Il problema che si pone, considerando discordie e divisioni, ha rilevato padre Cantalamessa, è che “non si può dare maggiore importanza alla comunione istituzionale” rispetto “a quella spirituale”:

“Questo per me pone un interrogativo serio, da tempo. Posso io, come cattolico, sentirmi più in comunione con la moltitudine di coloro che, battezzati nella mia stessa Chiesa, si disinteressano completamente di Cristo e della Chiesa, o se ne interessano solo per parlarne male, di quanto io mi senta unito, in comunione con la schiera di coloro che, pur appartenendo ad altre confessioni cristiane, credono le verità fondamentali che crediamo noi, amano Gesù Cristo, diffondono il Vangelo, mostrano i segni interiori dello Spirito Santo? Le persecuzioni, così frequenti oggi in certe parti del mondo, non fanno distinzione: non bruciano chiese, non uccidono persone perché sono cattolici o perché sono protestanti, ma perché sono cristiani. Per essi siamo già ‘una cosa sola’!”.

Sono interrogativi “che dovrebbero porsi anche i cristiani di altre Chiese nei confronti dei cattolici, ha aggiunto il predicatore della Casa Pontificia, che ha ribadito l’importanza dell’intuizione di Sant’Agostino nel riconoscere nello Spirito il principio essenziale dell’unità della Chiesa, “anziché nella comunione orizzontale dei vescovi tra di loro e dei vescovi con il Papa”. Insomma, è lo Spirito Santo che fa l’unità della Chiesa, “riflesso dell’unità perfetta che c’è tra il Padre e il Figlio per opera dello Spirito”. “È Gesú che ha fissato una volta per sempre questo fondamento mistico dell’unità quando ha detto: ‘Che siano una cosa sola come noi siamo una cosa sola’. L’unità essenziale nella dottrina e nella disciplina sarà il frutto di questa unità mistica e spirituale, non potrà mai esserne la causa”. Infine padre Cantalamessa ha osservato:

“I passi più concreti verso l’unità non sono perciò quelli che si fanno intorno a un tavolo o nelle dichiarazioni congiunte - per quanto questi siano utilissimi e indispensabili - ; sono quelli che si fanno quando credenti di diverse confessioni si trovano a proclamare insieme, in fraterno accordo, Gesú Signore, condividendo ognuno il proprio carisma, riconoscendosi come fratelli nella piena lealtà e obbedienza ognuno alle direttive della propria Chiesa”.

Ma quale l’insegnamento ultimo da cogliere sulla natura della Chiesa? E’ l’esortazione che Agostino usa chiudendo tanti suoi discorsi sulla Chiesa stessa: “Se dunque volete vivere dello Spirito Santo, conservate la carità, amate la verità, e raggiungerete l’eternità”.



Fonte:radiovaticana