«Faccio del bene e Gesù e Maria sono contenti»
di Antonio Margheriti Mastino
Certe volte la domenica
vado in questa parrocchia romana, della quale per ovvie ragioni taceremo
il nome: una delle tante che si somigliano. L’edificio è anni ’50. E
sono costernato da questo spazio disadorno, dall’arredamento sacro
dozzinale, dai microfoni gracchianti e a tutta birra che rompono i
timpani propalando prediche logorroiche e sfibranti ma che non quagliano
mai: parole parole parole. Che ti rubano il diritto ad ascoltare il
silenzio di Dio, mentre avverti il soffio lieve dello Spirito. Mi
opprime questo sentore generale di squallore e incuria. Solo mi consola
la certezza che quelli lì sono dei buoni preti, nonostante tutto: ci
credono. E fanno quel che possono, come possono.
Quando arriva
il momento della comunione, tutti si alzano a prenderla, salvo io e
qualche altro reietto. E allora mi chiedo: possibile che sia rimasto
l’unico peccatore di questo quartiere? Possibile che non ci stanno, solo
in questo quartiere, divorziati risposati, donne che abortiscono, gente
con odio in corpo, ladri e truffatori d’ogni risma? Solo io son
rimasto? E che avrò fatto mai di tanto abominevole! Cose che turbano la
mia pace durante la liturgia. E lì ti domandi a che servono ‘sti sinodi
quando poi, a prescindere, tutti prendono la comunione, con o senza
grazia di Dio.
Mi disse un sacerdote di zona: «Siamo rimasti
davvero in pochi e c’è da cominciare tutto daccapo: abbiamo bisogno
d’aiuto e a questo dovreste servire voi laici più formati e
coscienziosi. Ma oltre a crearci solo problemi, oltre a scambiare
l’essere operai nella vigna con il voler “comandare” in sacrestia, oltre
questo pure voi avete dimenticato che non di sole parole vive e
s’evangelizza l’uomo: lo si fa anche con l’esempio.» L’esempio delle
nostre vite, rapportate all’altro: il mondo ha bisogno più che di
maestri, di testimoni diceva Paolo VI. Già! Lo dico pure al prete. Ma
sempre alle parole stiamo, per quanto edificanti.
Il quale in
effetti mi chiede: ma sapete ancora voi laici come si diventa
“testimoni”? Testimoni della speranza cristiana. Bah, dico, essendo
devoti, pregando con zelo, vivendo coerentemente: non era Benedetto XVI a
dire che la Chiesa non è stata mai rinnovata dai disobbedienti ma dai
santi? Sì, mi dice, anche, “ci mancherebbe”. Ma non basta. «Questo serve
ad essere chiesa dentro la chiesa, ed è fondamentale, è la base.» Ma
poi, fuori? Come si può comunicare questo “stato di grazia”?
«La risposta è il povero Ercolino: lui forse non lo sa, ma Ercolino è
testimone della speranza che è in noi. Osserviamolo e facciamo come
lui». Osservo per giorni Ercolino: è un povero vecchio di origini
meridionali, zoppo, con un bastone, piccolo, sdentato, mezzo deforme,
miope, con difficoltà a parlare, di pelo rossastro e rosse sono le sue
guance e il nasone. Uno scarabocchio di Dio. E un uomo apparentemente
solo.
Sembra sia stato già raccontato da Alda Merini, pazza e poetessa, nella descrizione del suo Gesù:
Nessuno si è accorto di lui,
che è passato silenzioso e inerte
in mezzo all’ombra e alla luce (…),
che ha vestito di cenci
e non si è mai curato della propria bellezza.
Ora però Ercolino è anche uomo di chiesa, non c’è messa che si perda,
non c’è vangelo che non ascolti memorizzi e interiorizzi, non c’è volta
che passando davanti il santo edificio mentre va a fare le sue piccole
spese quotidiane (un pezzo di pane, una busta di latte, dei biscotti
“calabresi”, un farmaco) non si faccia il segno della croce e mandi “un
bacio volante” a quel che la chiesa nello scrigno del suo cuore
conserva.
Ercolino è un uomo felice. Non ha niente, la natura
gli ha negato tutto, ma è felice. Si accontenta di piccole cose, a orari
fissi, al bar: un bicchiere di solo latte tiepido e questo è tutto, non
prende altro. Ercolino, soprattutto, sorride sempre; celia, fa battute
urbane galanti e gentili a tutte le ragazze e signore che hanno imparato
a riconoscerlo; è saturo di un’ironia mite e antica, inoffensiva: piena
di passione e compassione per gli esseri umani.
Ma Cristo
era felice, era felice delle intemperie, era felice della pietra nuda,
era felice della sua stessa parola (…) Guardava le donne come si
guardano i fiumi che accompagnano la vela sbatacchiata da tutte le parti
e le sentiva amiche essendo donna nel cuore.
Ercolino è
povero ma dispensa ricchezza a tutto il quartiere: perché vede tutti,
sorride a tutti, a tutti rivolge la parola e una battuta. E sorridendo e
scherzando, rimbrotta anche quando vede qualcosa di storto, ma non si
serve di proverbi ché sono sempre così saccenti, usa il Vangelo: «Dice
il Signore…» ed è così che a tutti ricorda qual è la fonte della sua
gioia così “ingiustificata”; così rende noto il Vangelo, e così nel suo
piccolo è apostolo della nuova evangelizzazione: è egli stesso, con
tutta la sua persona, infelice fuori e serena dentro, Testimone:
testimone della speranza che è in lui. E che lo divora come una candela
la fiamma, che dà luce e calore tutt’intorno e dentro.
Ancora la Merini:
E
come vorrei diventare anch’io un deserto di semplicità dove crescano
sterpi e bisce e cose incolte che io amerò come fratelli perché
consumeranno la mia carne. Oh, siano benedetti coloro che consumano le
mie vesti così tribolate.
Perché tutti sanno che
Ercolino è uomo di Chiesa, ma soprattutto è uomo di Dio: Ercolino è
testimone e santo, e non c’è macchia, c’è innocenza in questo “piccolo”
di Dio, al quale tante cose grandi sono state in semplicità rivelate. È
un uomo che dovrebbe essere infelice e piegarsi su se stesso a
commiserarsi ma che invece si stacca da se stesso e guarda i cieli e
l’implora ridendo: beh, non c’è evangelizzatore e testimone più potente.
La gente che passa, pensa e dice: «Vedi Ercolino: vorrei essere come
lui». Perché Ercolino è felice. Felice che Dio c’è. Felice della vita
che gli ha dato. Felice persino del suo corpo infelice. Felice della
morte che verrà.
Nessuno si è accorto
che intorno a lui l’universo
gli faceva infamia
e che era una grande colata
di sudore e amore,
nessuno l’aveva visto.
Allora ho avvicinato Ercolino, e gli ho chiesto: ma perché sei felice
della tua vita? «Perché se non fossi nato, non avrei potuto sorridere. A
tante creature infelici, dire una parola buona a chi ne ha bisogno.
Perché essendo nato posso godermi anche qui le grazie di Dio. Oggi
forse, con tutti quegli esami che fanno alle donne incinte, mi avrebbero
abortito, perché, dicono, un figlio come me può solo soffrire. È gente
infelice quella che pensa così». Poi mi fissa, e mi sorride, ma
ammonendomi: «Dice il Signore: Vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno spirito nuovo.» Ci strapperà il cuore di pietra ci donerà un cuore di carne. Come ad Ercolino.
Incantato,
certe volte, lo vedevo sorridente osservare degli sposi che uscivano
dalla chiesa, delle madri con un pargolo in braccio, due fidanzati che
si baciavano, e questo lo potevo capire. Non capivo perché però
sorridesse anche vedendo un morto uscire dalla chiesa.
Glielo
domandai. Scosse la testa, come a dire, “non hai capito niente”. «La
gente pensa che pregare sia solo chiudersi in se stessi, in casa o in
chiesa con un rosario e mormorar giaculatorie. Anche questo… »,
traballante sulle gambe, si tirò fuori bruscamente un rosario dalla
tasca e lo baciò con devozione, anzi: passione, e lo ripose, «ma non
basta.» Che altro? «Dobbiamo fare di tutta la giornata, della nostra
vita una preghiera.» E come? Scosse ancora la testa: «Quando vedi degli
sposi uscire dalla chiesa dici una preghiera per loro: che imparino la
virtù della pazienza, solo così non divorziano e sono fedeli. Quando
vedi un bambino in braccio alla madre, preghi perché i genitori sappiano
educarlo con giustizia e amore.
Quando vedo un vecchio come
me…» e ride mentre lo dice «dico una preghiera perché qualcuno gli
faccia compagnia; se è un malato grave, ché impari la sopportazione e
faccia una santa morte. Se un commerciante ha aperto un negozio, ché
possa guadagnare il suo pane quotidiano: tanti commercianti oggi
falliscono dopo pochi mesi, ogni settimana uno, due. Appena giri un
angolo, mentre cammini, c’è sempre da pregare per qualcuno: ne hanno
tanto bisogno!» Bisogna fare della nostra vita tutta una preghiera, di
un intero quartiere una chiesa.
Eppure lo inseguivano tutti,
cercavano di toccarlo,
di capirlo,
di sapere quali erano le sue disubbidienze
«Per
questo sorrido: faccio del bene e Gesù e Maria sono contenti.» E quando
vedi una bara perché sorridi? «Certe volte non sorrido. Ma spesso sì:
perché il cuore mi dice che quell’anima è in purgatorio, dunque è salva.
E allora sono felice, e sono felice di poterla aiutare con le mie
preghiere. E sorrido».
Ercolino, dico, molti santi
piangevano. «Sapevano che c’erano tanti uomini che non sorridevano: a
causa del loro peccato. Perché non avevano incontrato Cristo
Liberatore.» Ossia la speranza cristiana. Che è in Ercolino. E ne fa un
testimone vivente.
Quanto mai sono vere in lui le parole di Paolo: «Io vivo, ma non sono più io che vivo, sei tu, Signore, che vivi in me».